Un Italiano su 4, Oltre 16 milioni soffrono di dolore cronico, un italiano su 4, e fra questi il 25% non è trattato a dovere: in quasi un terzo dei casi il dolore viene sottovalutato e faticosamente“sopportato”, oppure trattato con antidolorifici non specifici e con terapie“fai dai te”.
Tra i disturbi più diffusi figurano: mal di schiena, cefalea, nevralgie del trigemino, artrosi. A soffrirne maggiormente sono le donne comprese fra i 35 e i 50 anni, i primi rimedi sono i farmaci antinfiammatori non steroidei, i Fans. Il dolore cronico è spesso associato ad altre forme di sofferenza tra cui la depressione e disturbi d’ansia (Fishbainet al., 1997; Bair et al., 2003), disturbi del sonno (Benca et al., 2004) e a una diminuzione della qualità globale di vita (Cooper and Kohlmann, 2001). L’Associazione internazionale per lo studio del dolore (IASP) definisce il dolore come:
“Un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata a un danno tessutale reale o potenziale”.
La stessa IASP definisce invece il dolore cronico come:
“Esperienza dolorifica che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta o al di là del tempo di guarigione previsto”.
La Wisconsin Medical Society lo definisce come:
“Dolore persistente, continuo o ricorrente di durata superiore a 6 settimane o di intensità sufficiente a produrre effetti negativi sul benessere del paziente, sui livelli funzionali e sulla qualità di vita”.
Il DSM, nella sua quinta versione, lo inserisce tra i “disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati” e ne offre la seguente descrizione e caratteristiche diagnostiche:
“Uno o più sintomi somatici che procurano disagio o portano ad alterazioni significative della vita quotidiana. Pensieri,s entimenti o comportamenti eccessivi correlati a sintomi somatici o associati a preoccupazioni relative alla salute, come indicato da almeno uno dei seguenti criteri:
1. Pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità dei propri sintomi;
2. Livello costantemente elevato di ansia per la salute o per i sintomi;
3. Tempo ed energie eccessivi dedicati a questi sintomi o a preoccupazioni riguardanti la salute;”
Esiste una specifica classificazione delle diverse forme di dolore che ne permette la suddivisione in tre categorie: nocicettivo, neuropatico, idiopatico.
- Il dolore nocicettivo riguarda strutture dedicate alla rilevazione di danni tessutali che trasmettono gli impulsi al sistema nervoso centrale. L’aumento della concentrazione di sostanze infiammatorie, come le prostaglandine, si manifesta con uno stato infiammatorio (calore, rossore, gonfiore e dolore). Questo tipo di dolore è definito penetrante e lancinante. Può essere di origine muscolare, meccanico o compressivo. Rientrano nella categoria del dolore nocicettivo anche quello viscerale e muscolare. Il primo è meno localizzato, spesso definito sordo, crampiforme. Si può verificare con artrite, infezioni, traumi e inseguito a un intervento chirurgico. Il dolore muscolare si manifesta soprattutto in condizioni particolari, tra cui la fibromialgia o la sindrome miofasciale. Non è raro che si presentino altre condizioni quali astenia, insonnia, depressione, emicrania e sindrome da colon irritabile.
- Il dolore neuropatico è causato da un danno o da una disfunzione del sistema nervoso centrale o periferico, per esempio sciatalgia da - compressione di nervi, neuropatia diabetica, nevralgia del trigemino e nevralgia post erpetica. Il dolore è descritto come bruciante o a pugnalata e può seguire il decorso della via nervosa (per esempio sindrome del tunnel carpale). Spesso la cute è fredda, è presente intorpidimento locale e allodinia, cioè sensibilità a uno stimolo normalmente non doloroso. Il dolore neuropatico è parzialmente sensibile agli oppioidi, che quando vengono usati devono essere somministrati ad alte dosi e associati a farmaci adiuvanti.
- Il dolore idiopatico è di origine non nota, l’intensità e la durata non corrispondono a una motivazione organica. Una grande percentuale di disturbi da dolore cronico è di origine idiopatica. Spesso, le persone che ne soffrono non sono credute o tenute adeguatamente in considerazione. Nel dolore cronico è sempre presente una componente di dolore idiopatico (sofferenza psicologica).
Secondo la prospettiva dell’ ACT (Acceptance and Commitment Therapy) esistono due componenti del dolore, il dolore pulito e quello sporco. Per dolore pulito si intende quello naturalmente connesso alla vita di tutte le persone, legato prevalentemente alla sfera biologica. È fuori dal nostro controllo, non possiamo scegliere, pertanto, quando e come liberarcene. Parliamo di dolore“pulito” anche quando siamo di fronte ad una forte sofferenza emotiva, dovuta per esempio ad un lutto o ad ogni altro evento che abbia “oggettivamente” il potere di provocare dolore e sofferenza. Il dolore sporco, invece, è quel tipo di dolore, o meglio “sofferenza”, che proviamo nel tentativo di eliminare o contrastare il dolore pulito. La conseguenza, soprattutto di quelle strategie mentali (mediate dal linguaggio) attraverso cui tentiamo di capire il “perché”di quel dolore, le “conseguenze” a lungo termine del dolore ed il suo “impatto”sul nostro benessere. Di fronte a questi interrogativi, molto spesso, la nostra mente descrive scenari e circostanze dolorose da sostenere. Immaginiamo un futuro in cui il nostro benessere è seriamente compromesso ed in cui il dolore rappresenta un serio ostacolo alla realizzazione dei nostri scopi. Questi pensieri, e non il dolore di per sé, rappresentano l’innesco per il “dolore sporco”. La conseguenza del tentativo di fuga dagli eventi interni spiacevoli(dolore, sensazioni, pensieri) determina paradossalmente un nuovo set di sentimenti dolorosi. Tutte le terapie farmacologiche (quando efficaci) possono agire esclusivamente sulla componente di dolore pulito e non su quella di dolore sporco.
L’approccio dell’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) si propone, non tanto di eliminare il dolore (non perché non voglia ma perché impossibile), quanto piuttosto di cambiare rapporto con l’esperienza dolorosa. Quando entriamo in lotta contro il dolore, quando cerchiamo di capirlo, di attribuirlo a cause specifiche o responsabilità, stiamo inevitabilmente scegliendo di porre la nostra vita in stand by, ponendola al secondo posto rispetto all’esigenza di controllo delle emozioni e dei pensieri (es. “Quando starò meglio, allora accompagnerò mia figlia a teatro..”). Il ruolo del terapeuta ACT e quello di aiutare il paziente a considerare il controllo e l’evitamento esperenziale per quello che sono e a porre la persona in contatto esperienziale con i costi che derivano dall’uso ditali strategie.
L’ACT prende il suo nome da uno dei suoi messaggi centrali: “cambia atteggiamento verso quello che è al di fuori del nostro controllo personale, come può appunto essere il dolore, impegnati attivamente nel fare qualunque cosa possa migliorare la qualità della tua vita. sottolinea l’importanza di accettare piuttosto che tentare di controllare esperienze e pensieri negativ” (Hayes, Strosahl, & Wilson, 1999, 2012).
“Accettazione” comporta “esposizione” al dolore così come viene sperimentato senza tentativi di evitarlo o controllarlo e persistere in attività “sane” anche quando il dolore è presente. Gli Autori definiscono l’accettazione del dolore cronico come “disponibilità intenzionale”ad intraprendere attività significative nella vita senza tener conto delle sensazioni, dei pensieri e dei sentimenti collegati al dolore, sensazioni che altrimenti risultano precludenti le attività stesse (McCracken et al., 2004).Il nucleo della proposta consiste nel non attivarsi in violenti tentativi non necessari di fronteggiare le esperienze personali, tentativi che spesso hanno come effetto l’intensificare le componenti aversive delle esperienze stesse, pervadendo con influenze distruttive tutta la vita.
https://medtriennaliao.campusnet.unito.it/didattica/att/47cf.7998.file.pdf
https://www.stateofmind.it/2017/12/act-dolore-cronico-workshop-verona/
https://www.ok-salute.it/salute/dolore-cronico-cause-sintomi-terapia/