Disturbo d’ ansia generalizzata

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) soffre di un disturbo d’ansia generalizzato il 5% della popolazione mondiale, soprattutto donne. Si caratterizza per la presenza,   eccessiva   e   prolungata   nel   tempo,   della   sintomatologia ansiosa   frutto dell’attività mentale di worry  (rimuginazione). A differenza degli altri disturbi d’ansia, il disturbo generalizzato ha come tema della preoccupazione 

un’ampia gamma di stimoli e situazioni che non possono essere definite e raggruppate all’interno di un’unica categoria, come nel caso di una fobia specifica o disturbo da attacco di panico. Il contenuto delle preoccupazioni si estende a diverse aree tematiche: famiglia, lavoro, salute, relazioni . Al centro delle dinamiche che guidano il disturbo, un processo cognitivo definito “worry”, l’attività mentale attraverso cui si tende a ripetere, discutere, passare in rassegna,  una serie di pensieri considerati come incontrollabili e fonte di preoccupazione. Questi pensieri si focalizzano su contenuti spiacevoli, catastrofici, che potrebbero manifestarsi in futuro al fine di poter controllare e prevenire gli stessi eventi cui essi si riferiscono, ovviamente senza successo e con il solo risultato di suscitare emozioni e stati mentali ritenuti negativi ed insostenibili. Un esempio tipico di come di manifesta il disturbo potrebbe essere quello di una mamma e del figlio adolescente. Non è raro, in questi casi, che una mamma si trovi a trascorrere le proprie serate seduta sul divano in preda al pensiero delle circostanze catastrofiche e negative che potrebbero essere accadute al figlio, in ritardo di una decina di minuti dall’orario in cui avrebbe dovuto far ritorno in casa, potrebbe aver subito nella sua permanenza all’esterno con gli amici. Incidenti, rapimenti e ogni altro tipo di catastrofe animano i pensieri di quella povera donna che non riesce a intravedere altra possibilità se non l’attività mentale di rimuginazione e la richiesta di continue rassicurazioni e conferme. Come per tutti i comportamenti, non è possibile definire tale atteggiamento malato o negativo, si tratta di uno stile (la rimuginazione) che la persona ritiene utile per gestire al meglio le circostanze negative immaginate. Paradossalmente, ogni qualvolta il figlio torna a casa sano e salvo, e prima di farlo la mamma ha trascorso l’intera notte a preoccuparsi, questa   combinazione   evento-gestione mentale dell’evento ,   agisce   rinforzando l’atteggiamento della mamma la quale sarà spinta ad agire nuovamente allo stesso modo quando il figlio si troverà nelle stesse circostanze. Tale atteggiamento non è pertanto utile a prevenire sciagure ma a ridurre lo stato di ansia. La persona crede di “far qualcosa, di occuparsi del problema” e questo restituisce la percezione di un certo livello di controllo sulle situazioni. Alla lunga, però, tale atteggiamento comincia ad avere delle conseguenze e delle ripercussioni sul benessere della persona e dell’intera famiglia, le relazioni ne risentono, la stessa persona crede di aver perso il controllo della propria mente, le attività socio-lavorative si riducono al minimo e quel minimo che rimane non viene svolto al meglio. Questo è il motivo per cui tale comportamento (rimuginio ansioso o worry) diviene fonte di malessere. Secondo Wells (Wells 1994, 1995) uno psicologo che ha molto indagato i processi cognitivi legati a questo tipo di disturbo, esistono due tipi di preoccupazioni che vivono le persone con questa problematica, l’autore le definisce di Tipo 1 e Tipo 2. Le preoccupazioni di Tipo 1 riguardano fatti e circostanze ritenuti pericolosi e che la persona ritiene di poter controllare mediante strategia verbali, rimuginio, utili a passare in rassegna ogni aspetto e particolare della situazione al fine di individuare una via d’uscita al problema.  Tentativo infruttuoso, ogni tentativo finisce col far emergere aspetti ancora più negativi ed incontrollabili della situazione i quali, inoltre, danno origine ad un grave stress dovuto alla presenza di pensieri negativi ed emozioni intense e difficili da gestire. Quest’ultimo aspetto è alla base delle preoccupazioni di Tipo 2. La stessa persona si rende conto di aver perso il controllo di quella strategia (rimuginio) che riteneva utile e sviluppa una forte apprensione nei confronti di tutti quei pensieri che arrecano stress e disagio. Crede di stare per impazzire e che per via di questi pensieri ne avrà un danno  ulteriore  alla   sua  salute   mentale.   La  persona   agisce   un’ampia   gamma   di comportamenti protettivi, prevalenti sono gli evitamenti esperienziali e le continue richieste di rassicurazioni agiti prevalentemente a persone di fiducia ed a lui vicine. Molto spesso è proprio l’atteggiamento delle figure di riferimento, con le continue rassicurazioni e azioni protettive (tra queste per esempio accompagnare la persona nei suoi spostamenti o sostituirsi a lei in attività e circostanze ritenute pericolose) a favorire il mantenimento del problema nel tempo. 

Criteri diagnostici

A. Ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) che si manifestano per la maggior parte del giorni per almeno sei mesi, relative ad un’ampia gamma di eventi (prestazioni lavorative, scolastiche, rapporti familiari). 

B. L’individuo ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.

​C. L’ansia e la preoccupazione sono associate a tre (o più) dei seguenti sintomi (con almeno alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi 6 mesi) 

1. Irrequietezza, sentirsi triste o con i nervi a fior di pelle; 

2. Facile affaticamento; 

3. Difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria; 

4. Irritabilità; 

5. Tensione Muscolare; 

6. Alterazione del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente); 

D. L’ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti; 

E. La condizione non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o un’altra condizione medica (ipertiroidismo); 

F. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale;​

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