Approccio Cognitivo Comportamentale Classico

La nascita della moderna psicologia

La   psicologia   è   quella   disciplina   che   studia   il comportamento umano e la mente, attraverso l’analisi dei   processi   psichici,   mentali   e   cognitivi   nelle   loro componenti   esplicite   e   implicite,   mediante   l'uso   del metodo scientifico. Numerose sono state le fasi che la moderna   psicologia,   e   quindi   psicoterapia,   hanno attraversato prima di giungere a noi nella sua attuale forma   e   organizzazione.   Il   primo   autore   che   si   è occupato       scientificamente       dei       problemi psicopatologici   fu   Freud   (1856-1939).   Medico neurologo, propose il modello della libido  per spiegare il funzionamento della mente, quasi fosse un sistema idraulico-meccanico . Non sempre, però, si è goduto del contesto   liberale   in   cui   è   nata   e   si   è   sviluppata   la   psicoanalisi   e   gli   altri   approcci   di psicoterapia. In età medievale grande influenza ha avuto per esempio, a fronte delle rigide impostazioni esercitate dalla chiesa, il vincolo secondo cui l’ uomo  dovesse essere escluso da qualsiasi tentativo di studio o analisi essendo egli fatto a immagine e somiglianza di Dio. Grazie   all’opera   e   alle   intuizioni   strategiche   di   Cartesio,   che   all’interno   dei   suoi   scritti suddivide gli ambiti di studio dell’uomo in   res cogitans  dalla   res extensa , è stato possibile avviare il processo di laicizzazione della psicologia.  E’ questo il momento in cui ha inizio lo studio sistematico dell’uomo, dalla sua anima e poi dal contenuto e natura della sua mente. Numerosi   furono   le   correnti   teoriche   che,   nei   secoli,   contribuirono   allo   spostamento dell’attenzione verso quello che oggi è l’oggetto di studio della moderna psicologia. Dagli empiristi    agli    associazionisti ,   dalla   riflessologia   alla    fisiologia ,   dalla   psicoanalisi   al comportamentismo  e   successivamente   cognitivismo .   Sono   questi   alcuni   dei  momenti   e  dei modelli teorici da cui tutto ha preso piede, per giungere ai giorni nostri sotto forma di un ampio   panorama   di   modelli   teorico-pratici   che   si   pongono   l’obiettivo   di   spiegare   il funzionamento della mente , l’origine del disagio psicologico , l’approccio clinico più efficace per superarlo.

L’approccio cognitivo comportamentale

Gli approcci  di  psicoterapia  sono  numerosi  e vasti  ma se si  assumono  specifici criteri  di selezione, quali per esempio il modello teorico e le tecniche,  si possono raggruppare in due grandi   filoni,  l’approccio  psicoanalitico   e   quello   cognitivo-comportamentale .   Da   questi   due filoni si sono sviluppati tutti gli altri modelli e approcci cui oggi è possibile far riferimento nel tentativo di risolvere le più comuni forme di disagio psicologico. L’approccio   cognitivo comportamentale (CBT), è indicato come trattamento di prima scelta ( Practice Guideline; Guideline Watch, Cochrane Data Base of Systematic Reviews, Evidence-based Mental Health ) per un ampio numero di disturbi e patologie, la sua efficacia è stata dimostrata essere pari o superiore, in alcune circostanze, alla stessa terapia farmacologica, soprattutto se si prende a riferimento, per valutarne l’efficacia, la variabile   durata ,   ricadute   e   solidità   dei risultati nel tempo. L’approccio cognitivo comportamentale, cosi come espresso dallo stesso nome,   contiene   al   suo   interno   una   doppia   anima,   quella   comportamentale   e   quella cognitivista. Nonostante i due approcci avessero modelli teorici e tecniche diverse, la loro​integrazione all’interno di un unico approccio si è resa funzionale, entrambe hanno avuto il pregio di descrivere il modello di funzionamento dell’organismo e della mente osservandola da punti di vista diversi, da un parte il comportamento ed il processo che lo regola, dall’altro il pensiero e le leggi che ne regolano l’influenza sull’intera attività psichica e quindi sullo stesso comportamento.

Le origini dell’approccio comportamentista

Il   comportamentismo   nasce   ufficialmente   nel   1913,   anno   di   pubblicazione   di   quello   che diverrà   poi   il   manifesto   al   comportamentismo:   “ La   psicologia   così   come   la   vede   il comportamenstista ”   al   cui   interno  furono   riassunti   e  descritti   i  più  rilevanti   contributi  in ambito   sperimentale,   all’interno   dei   laboratori   in   cui   veniva   studiato   il   comportamento animale, e i principi dell’evoluzionismo così come proposto da Charles Darwin. Il  comportamentismo spiega che in natura non esistono comportamenti sbagliati o patologici, ogni comportamento è piuttosto funzionale a uno scopo, finalità. Ogni comportamento è al servizio di un bisogno dell’organismo, sia esso la fuga dal pericolo che anche l’ottenimento di una ricompensa. Il repertorio di comportamenti che ogni individuo possiede, nella maggior parte dei casi, sono appresi, salvo che essi non siano determinati geneticamente, in questi casi parleremo di   riflessi . Un riflesso è per esempio quel movimento attraverso cui ritiriamo il braccio di fronte ad una fonte di dolore.   Il comportamentismo guarda al comportamento come un processo, non può essere limitato a un solo gesto o azione, dietro quella stessa azione vi è un flusso costante d’interazioni fra l’individuo, o meglio l’organismo, e il mondo che lo circonda. Un comportamento, quindi, è la parte più visibile di un processo molto ampio e complesso.

Condizionamento classico e disturbi d’ansia

Grazie agli studi pioneristici di I. P. Pavlov, riflessologo russo, furono poste le basi per la comprensione e descrizione di  uno  dei più   importanti   principi   della   moderna psicologia, il condizionamento classico . Immaginiamo   la   circostanza   in   cui   un ragazzo è aggredito da un cane. Per lui, fino a     quel     momento,     i     cani     non rappresentavano   qualcosa   di   pericoloso ( stimolo     neutro ),     ma     a     seguito dell’aggressione     ( evento     +     intensa emozione ) interpretata dal cervello come rischiosa per la sopravvivenza del ragazzo.  Da quel momento in poi il cane ha cominciato a rappresentare una fonte di pericolo (condizionamento classico). Questo è il modo in cui il comportamentismo spiega la nascita delle fobie  e una gran quantità di disturbi d’ansia, caratterizzati per il fatto di comprendere la   fuga   e l’ evitamento quale strategia di gestione del “pericolo”. Quest’ultima circostanza, l’ evitamento , introduce il secondo fondamentale principio del comportamentismo, il condizionamento operante

Condizionamento operante e mantenimento nel tempo dei disturbi psicologici

A   partire   dai   primi   studi   di   Thorndike,   Skinner propone   una   descrizione   funzionale   di   come   gli stessi   apprendimenti   che   agiamo   in   funzione dell’esperienza   diretta   possano   essere   modulati dalle   loro   conseguenze.   Ogni   volta  che   agiamo  un comportamento   questo   avrà   maggiori   o   minori probabilità   di   ripetersi   nel   tempo   in   base   alle conseguenze   che   esso   produrrà.   Questa   classe   di conseguenze prende il nome di   rinforzo   (positivo e negativo)   e   punizioni .   I   primi   aumentano   le probabilità   che   esso   possa   ripetersi.   La   seconda, invece,   riduce   le   probabilità   che   possa   ripetersi nuovamente.   Questo   principio   è   presente   in   ogni istante   della   nostra   vita   e   si   può   individuare   in ognuna delle azioni che agiamo. I   rinforzi   indicano tutti quegli aspetti che hanno il potere di aumentare o  ridurre  le probabilità che quello stesso comportamento possa ripetersi nel tempo. Quando a un’azione fa seguito una ricompensa, parleremo di rinforzo positivo, quando invece un’azione permette di far cessare una fonte di disagio (per esempio un mal di testa) paleremo di rinforzo negativo. Non si fraintenda il termine “negativo”, in quel caso, quando vogliamo definire la circostanza in cui qualcosa riduce le probabilità che quel comportamento si possa ripetere parleremo di punizione , cui fa seguito, secondo   specifiche   modalità,   l’estinzione   di   un   comportamento   dal   repertorio comportamentale.   Immaginiamo   un   ragazzino   che,   trovandosi   in   classe,   si   trovi   a   fare   lo stupido   con   l’insegnante   catturando   l’attenzione   e   la   simpatia   dei   compagni   che   ridono divertiti di quella sua performance. In questo caso, le conseguenze estremamente piacevoli delle sue azioni (l’attenzione e le risate dei compagni) aumenteranno di molto le probabilità che   quel   comportamento   possa   nuovamente   ripetersi,   anche   se   l’insegnante   dovesse rimproverarlo  e  redarguirlo.  Il  ragazzino  assumerà  quindi,  in  modo  stabile,  una  condotta irriverente e provocatorio, tentativo di ricevere le attenzioni e la stima dei compagni. Questo comportamento si manterrà nel tempo fin quando i compagni continueranno a rinforzarlo.

L’analisi funzionale – abc comportamentale

Grazie alla tecnica dell’analisi funzionale è possibile comprendere in che modo e a quale scopo un comportamento viene agito da un individuo. Nella prima colonna rientrano tutti gli eventi che accadono attorno a noi (azioni, eventi) e dentro di noi (pensieri, emozioni, sensazioni). Esse hanno sempre un impatto sul nostro organismo, tale impatto non è uguale per tutti gli organismi e gli individui ma dipende da tanti aspetti tra cui   esperienze precedenti ,   contesto socio culturale, bisogni personali, convenzioni . In questo caso, di fronte ad un cane, dopo aver fatto esperienza di una precedente aggressione, il ragazzo proverà un’intensa paura che lo motiverà ad agire un comportamento in linea con il proprio vissuto, pertanto tenterà la fuga. Gli effetti di questo comportamento (rinforzi), la riduzione della paura, avranno il potere e la funzione di rendere stabile nel tempo questo repertorio secondo la regola:   “se fuggire mi è stato d’aiuto ad evitare il pericolo e stare bene, ogni volta che vedrò un cane non posso non fuggire.

Antecedente (A)
Comportamento (B)
Conseguenze (C)
La vista del cane che mi ha aggredito in passato, il ricordo dell'esperienza vissuta, Ansia e paura
Allontanamento dal cane, scelta di cambiare percorso per
giungere a destinazione.
Riduzione del disagio, riduzione
dell'ansia
e della paura.

Esperienza indiretta e apprendimento governato dalle regole

Consideriamo adesso l’ipotesi che, mentre il ragazzo è aggredito dal cane, io mi trovi a passare da li e mi accorga di quanto accaduto. 

Cosa susciterà in me quell’esperienza? 

Anche   in   questo   caso   avverrà   un   apprendimento   definito   vicario .   I   biologi   spiegano   tale circostanza come uno dei più ingegnosi meccanismi di adattamento. Se, infatti, fosse stato necessario   fare   esperienza   dei   denti   del   coccodrillo   per   capirne   la  pericolosità,   il   genere umano   non   sarebbe   oggi   la   specie   dominante   sulla   terra,   probabilmente   sarebbe   anche estinta.   L’apprendimento   per   modello,   quindi,   permette   di   avvantaggiarsi   dell’esperienza altrui senza pagarne le conseguenze. A trovarsi nelle vicinanze del coccodrillo, però,  si corre comunque una certa quota di pericolo. Ecco quindi che l’evoluzione ci ha permesso di aggirare anche quest’ostacolo attraverso l’acquisizione del linguaggio . Quando il nostro antenato, dopo aver assistito all’uccisione del proprio compagno per mano di un coccodrillo, tornava nella caverna   dai   suoi   simili   aveva   una   nuova   opportunità   per   favorire   un   apprendimento,   il racconto dell’esperienza cui aveva assistito. 

Che funzione ha questa esperienza ? 

Anche in questo caso genera un apprendimento,  a differenza dei primi due, però,  questo apprendimento   è   governato   dalle   regole   verbali,   ossia   dai   pensieri   che   quella   regola determina, pensieri negativi sulle conseguenze delle proprie azioni che generano uno stato di allerta   (ansia)   cui   reagiamo   sempre   allo   stesso   modo,   così   come   descritto   nell’analisi funzionale, con al fuga o l’evitamento, nel tentativo di metterci al sicuro.

Antecedente (A)
Conseguenze Fisiologiche
Comportamento
Conseguenze
La vista del cane che mi ha aggredito in passato, 
Ansia, Paura.
Fuga, Evitamento
Riduzione dello stato d'ansia.

Il   comportamentismo   classico   però   non   concepiva   l’esistenza   di   altro   che   non   fosse   il comportamento visibile, lo stesso Skinner parlava di Black Box per descrivere i processi della mente, qualcosa che, in assenza di adeguati strumenti e tecniche, non poteva essere studiato adeguatamente   pertanto   andava   lasciato   fuori   dallo   studio   sistematico   e   scientifico   della psicologia.  Tale impostazione era troppo rigida per la portata della materia di cui si discuteva, lasciare fuori dallo studio della psicologia l’esperienza interna ne riduceva il valore scientifico e le possibili applicazioni. Nasce pertanto l’esigenza di riconoscere e rendere operativo quello che accadeva tra lo stimolo e la risposta, tra il cane e la reazione di fuga esiste qualcosa che fa ​parte della soggettività dell’individuo e che modula il tipo di risposte con cui gestiamo il pericolo e gli eventi, il pensiero.

Situazione
Pensiero
Conseguenze Fisiologiche
Comportamento
Conseguenze prodotte nell'ambiente
La vista del cane che mi ha aggredito in passato, 
'' Se mi avvicino mi morderà''
Ansia, Paura.
Fuga, Evitamento
Riduzione dello stato d'ansia.

Grazie al processo di evoluzione abbiamo sviluppato un’ampia porzione del sistema nervoso dedicata   esclusivamente   alla   produzione   e   comprensione   del   linguaggio.   Da   quest’   area vengono generate di continuo idee e pensieri sul mondo e sulla realtà che ci circonda ed alle quali reagiamo come se l’idea del cane che ci morde dopo averlo visto  equivalesse al cane in carne ed ossa che ci aggredisce.

Il cognitivismo e l’approccio cognitivo comportamentale classico

Il comportamentismo classico, grazie agli autori che provarono a superarne i limiti, assume le sembianze di un nuovo approccio: propone in una stessa anima aspetti quali le moderne conoscenze scientifiche sul funzionamento del cervello, il ruolo del linguaggio ed il modo in cui questo guida le nostre reazioni emotive. Secondo questi autori, tra la vista del cane e l’ansia che determina la fuga si presenta uno o più pensieri della persona che innescano le reazioni di allarme. Il nostro cervello funzionerebbe come un computer, ogni volta che un pensiero descrive la realtà e le circostanze in cui ci troviamo, il sistema nervoso lo elabora e decide se quella stessa circostanza è   pericolosa  o   utile ,   piacevole   o   spiacevole . Sulla base di questi “calcoli” innesca emozioni tra cui paura, rabbia, tristezza condizionando quindi le scelte dell’individuo. E’ molto probabile, infatti, che di fronte alla paura o ansia, gli esseri viventi decidano di evitare o fuggire da quello che l’ha determinata. E’ un potente meccanismo di adattamento e sopravvivenza, purtroppo però risente di alcuni limiti del pensiero e linguaggio, gli errori di ragionamento. Tutti gli esseri umani ragionano in modo ottimale, non perfetto. Lo stesso cervello è ottimale e non perfetto . Non perché la natura sia stata imperfetta ma perché è conveniente. Immaginate di trovarvi in un bosco e di vedere tra la sterpaglia una pelliccia simile a quella di un ghepardo. Siamo troppo lontani per definirlo con certezza, pertanto il nostro cervello prova a dare una spiegazione con gli elementi a propria disposizione. Quasi certamente saremo indotti a pensare che si tratti di un ghepardo anche se non è cosi.

Perché avviene questo?

A   pensare   che   si   tratti   di   un   animale   pericoloso,   la   nostra   mente   favorisce   la   nostra sopravvivenza perché in questo modo è probabile che l’individuo decida di non avvicinarsi e quindi di evitare il pericolo “immaginato”.   In realtà non si tratta di un ghepardo ma di un innocuo pollo.  La nostra  mente ha comunque vinto,  perché ragioniamo secondo la logica “ meglio cento volte scappare che una sola rischiare ”. Questo errore di ragionamento, secondo il cognitivismo,   è   determinato   da   alcuni   comuni   errori   cognitivi   che   tutti   gli   individui commettono, spesso li chiamiamo pregiudizi, e guidano il contenuto delle nostre idee.

Alcuni errori comuni di ragionamento sono:

Generalizzazione – Il cane mi ha morso, mi morderanno tutti i cani; 

Pensiero bianco o nero – O sono magro o sono grasso; 

Catastrofizzazione – Mi ha detto che sono stato superficiale, è terribile. 

Inferenza arbitraria – Domani andrò a giocare con gli amici del calcetto, la mia ragazza mi lascerà; 

Lettura del pensiero – Starà pensando che sono uno stupido; 

Fusione pensiero azione – Se penso che andrà  male, di certo andrà male; 

Personalizzazione – Riportare a se stessi le responsabilità di quanto accade; 

Squalificare il lato positivo – Ho fatto bene quel lavoro, ma questo non significa che io sia una persona competente 

Affermazioni dovrei e devo – Devo assolutamente essere all’altezza della situazione; 

A partire da questi presupposti prende il via l’approccio cognitivo comportamentale che oggi domina la scena dell’attuale panorama scientifico in ambito psicologico.

La nascita dell’ approccio cognitivo comportamentale

L’approccio cognitivo comportamentale nasce intorno agli anni 60’ ad   opera   soprattutto   di   Aron   Beck ,   terapeuta   di   formazione psicoanalitica   che,   insoddisfatto   dal   precedente   modello   clinico (psicoanalisi) sente la necessità di apportare delle modifiche alla sua pratica al fine di rendere più efficace il percorso di terapia. Beck scelse come punto di partenza una riflessione che lo accompagnava spesso   nel   lavoro   con   i   suoi   pazienti.   Aveva   notato,   infatti, un’evidente interdipendenza tra pensieri, emozioni e comportamenti . Giunge quindi alla conclusione che sono i pensieri, soprattutto il loro contenuto, a modulare qualità e intensità delle emozioni che una persona può sperimentare e che successivamente condizionano le sue scelte e i suoi comportamenti. Prendendo quindi spunto dai pensieri del filosofo greco Epitteto  “ Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni che hanno delle cose ”, concentra la propria attenzione non tanto sui fatti e sulle esperienze nella loro oggettività quanto sulle opinioni che le persone avevano rispetto agli stessi eventi. Negli stessi anni, ed in modo del tutto indipendente, un altro studioso, Albert Ellis, presentò un proprio modello terapeutico cui dette il nome “Terapia Razionale Emotiva (RET)”. Anche per Ellis l’elemento pensiero giocava un ruolo rilevante, egli riteneva inoltre che la sua influenza era talmente rapida e inconsapevole che la persona avrebbe potuto reagirvi senza neanche averne consapevolezza. Più in generale, potremmo supporre​che la mente umana reagisca a quanto può percepire attraverso i suoi sensi (vista, udito, olfatto, tatto, gusto) attraverso una serie di pensieri, immagini, sensazioni che inducono la persona a provare determinate emozioni, e in funzione di queste agisce altrettanti comportamenti che sono in linea con emozioni e pensieri (teorema di Thomas). Se penso che il cane mi morderà, la fuga, per quanto esagerata, sarà coerente con l’ansia che provo e con le mie idee.

Nella maggior parte dei casi il pensiero non corrisponde alla verità dei fatti, nessuna delle conseguenze che immaginiamo si realizza in futuro e nel modo in cui lo immaginiamo. Nonostante la persona sia a conoscenza dell’irrazionalità dei propri pensieri non riesce a prenderne le distanze e viene guidato dal loro contenuto ad agire determinati comportamenti e scelte che rendono difficile il suo benessere.

Situazione
Pensiero
Conseguenze fisiologiche
Comportamento
Litigio con il proprio partner
'' Non cambierà mai sarò infelice con lui''
Ansia, tristezza.
Pianto, richiesta di rassicurazioni, fuga.

A partire da pensieri distorti, è comune che una persona eviti determinati luoghi o circostanze per paura  di sentirsi male,  faccia di tutto per non  destare l’attenzione e il giudizio delle persone   con   cui   entra   in   contatto,   controlla   le   proprie   sensazioni   fisiche   dopo   aver sperimentato  gli  effetti   di  un   attacco  di  panico,   ricerca  informazioni  su internet   e  svolge numerose   visite   mediche   nel   tentativo   di   comprendere   la   natura   di   alcuni   dolori   che   lo impauriscono. I pensieri, e più in generale il nostro   dialogo interiore , (cognitivo) guidano i nostri comportamenti (comportamentale) nel tentativo di raggiungere i nostri scopi, siano essi quelli di fuggire da un pericolo, ottenere qualcosa di piacevole o altro che sia espressione dei   nostri   scopi.   In   ambito   clinico,   l’approccio   cognitivo   comportamentale   ha   dimostrato un’efficacia  pari   o  addirittura   superiore  ai   farmaci   nel  trattamento  dei  principali   disturbi psichici. 

Caratteristiche distintive dell’approccio cognitivo comportamentale

Scientificamente fondato 

L’efficacia dell’approccio è scientificamente dimostrata, i protocolli clinici sono basati sulle più attuali conoscenze nel campo delle neuroscienze e delle scienze biologiche. Al centro dell’approccio l’organismo e le leggi che ne regolano la capacità di adattamento all’ambiente, l’evoluzionismo darwiniano e il funzionalismo proprio delle scienze comportamentali. 

Pratica e concreta 

E’ una terapia estremamente pratica che pone grande attenzione al modo in cui la persona agisce, al raggiungimento dei suoi obiettivi e di come questi spesso vengano sacrificati nel tentativo di evitare circostanze ritenute pericolose. Sposta l’attenzione da come la persona “si sente” a come la persona “agisce” in funzione di come si sente. ​

Centrata sul qui e ora 

Presupposto essenziale di tale intervento è che ogni comportamento può essere agito solo e soltanto nel momento presente, e cioè ora. 

Breve 

Già durante le prime sedute è possibile apprezzare un miglioramento significativo della sintomatologia iniziale; 

Empirismo collaborativo 

Paziente e terapeuta collaborano attivamente nello svolgimento degli esercizi esperienziali e nella definizione del programma e contenuto delle esperienze stesse; 

Scoperta guidata 

Non vi è una mera trasmissione d’informazioni tra paziente e terapeuta, attraverso esperienze in vivo si deducono delle nuove e più funzionali convinzioni rispetto alle circostanze che in passato hanno suscitato disagio e sofferenza; 

Non giudicante, non esprime posizioni personali; 

Il terapeuta non giudica le esperienze private del paziente, assume piuttosto una posizione neutra sempre e comunque rispettosa della dignità e del benessere della persona che ha richiesto l’aiuto del terapeuta; 

Rispetto della privacy

Il paziente garantisce il rispetto della privacy del paziente, la sua dignità personale, dei suoi costumi, valori e costumi; 

Rispetto del codice etico degli psicologi 

Lo psicoterapeuta agisce nel rispetto e in conformità del codice deontologico degli psicologi italiani; 

La strategia terapeutica 

La via verso il benessere proposta dall’approccio cognitivo comportamentale classico passa attraverso   una   prassi   clinica   specifica   che   mira   a   insegnare   la   possibilità,   da   parte   della persona, di individuare il contenuto irrazionale dei propri pensieri, riconoscerne gli errori di ragionamento per assumere poi delle convinzioni più obiettive e funzionali alla realtà dei fatti, assumendo un punto di vista razionale-probabilistico. Accanto a queste tecniche, definite di “ristrutturazione   cognitiva”,   il   terapeuta   propone   ulteriori   tecniche   di   matrice comportamentista   ( esposizione,   rilassamento,   tecniche   di   incremento   o   riduzione   del comportamento )   attraverso   cui   rendere   il   repertorio   comportamentale   della   persona   più vicino alle sue finalità ed obiettivi.  I benefici apportata da queste e altre tecniche sono subito visibili e permettono di migliorare la sintomatologia inziale al punto fino ad una completa remissione.   Numerose   le   agenzie   cliniche   internazionali   e   gli   studi   di   efficacia   che raccomandano e dimostrano l’utilizzo di tecniche cognitivo comportamentale per la gestione terapeutica delle più comuni forme di disagio psichico. La sua efficacia è pari, e in alcune circostanze superiore, al trattamento farmacologico, specialmente se si utilizza quale criterio di confronto la prevenzione delle ricadute nel tempo e la durata del trattamento. Uno degli aspetti più negativi delle terapie farmacologiche, infatti, riguarda la loro durata nel tempo,​agendo quasi esclusivamente sul sintomo sviluppano spesso una forma di dipendenza dal farmaco e la sua assunzione a lungo nel tempo.

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