La parola “umore” è utilizzata nel linguaggio comune per indicare una disposizione affettiva e istintiva che determina il tono prevalente dell’attività mentale che ogni individuo può sperimentare nel corso della propria vita la cui intensità può interferire in
modo significativo con le attività più importanti: lavorative, relazionali, socio-ricreative, occupazionali. Anche in condizioni di sufficiente benessere l’umore presenta delle oscillazioni fisiologiche, esse dipendono da parametri psicobiologici e dalla reazione a stimoli provenienti sia dal contesto esterno (eventi, circostanze, accadimenti) sia da quello interno (emozioni, pensieri e sensazioni). I disturbi dell’umore, per essere clinicamente significativi, devono essere espressione di una costante, duratura e pervasiva alterazione del tono dell’umore, che si accompagna quasi sempre ad una serie di “risposte” esagerate ad eventi, circostanze, stimoli che si affrontano quotidianamente e che limitano e compromettono notevolmente la partecipazioni alle normali attività.
Nel momento in cui un individuo sperimenta un’alterazione dell’umore si può presentare una deflessioni (come nelle condizioni depressive) o esaltazione (come nella mania e nell’ipomania). Tra i disturbi dell’umore più comuni e facilmente riscontrabili nella popolazione generale rientrano: Disturbo Depressivo, Disturbo Bipolare (tipo I e II), Disturbo Distimico, Disturbo dell’Umore Dovuto a Condizione Medica Generale e Disturbo dell’Umore Indotto da Sostanze. La caratteristica comune di tutti questi disturbi è la presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo.