Una delle caratteristiche a mio avviso utili e funzionali degli approcci terapeutici cognitivo comportamentali di terza generazione, tra cui l' Acceptance and Commitment Therapy - ACT - che con grande gioia e gratitudine pratico ogni giorno della mia vita e non solo in studio, è l'atteggiamento che si propone di sviluppare ed allenare nei confronti dell'esperienza interna: emozioni, sensazioni, pensieri.
I vecchi approcci, nonostante abbiano dimostrato di essere comunque più efficaci rispetto alla maggior parte degli alti modelli in giro, proponevano (e propongono) attraverso tecniche verbali (disputa razionale, dialogo socratico) la messa in discussione dei pensieri disfunzionali al fine di individuarne di più efficaci e funzionali.
P.es:
Sei sicuro che quello che stai pensando rappresenta il modo in cui le cose realmente andranno?
- Stai commettendo per caso degli errori di ragionamento?
- Quale sarebbe un pensiero più obiettivo e razionale rispetto a questa circostanza?
- Come ti fa stare questo pensiero rispetto al precedente?
Questo approccio ha permesso di raggiungere risultati straordinari rispetto a quanto si riusciva ad ottenere con altri modelli, è come se di botto l'aspettativa di vita di un essere umano fosse passata dai 40 anni di un secolo fa agli ottanta attuali.
Questi cambiamenti hanno riguardato dimensioni quali DURATA della terapia (più breve), RICADUTE nel tempo (ridotte), ABILITA DI COPING (maggiori e più funzionali rispetto ad altri inevitabili eventi stressanti futuri).
Con l'avvento delle terapie di terza generazione, su tutte l'ACT, abbiamo abbandonato il tentativo di lotta e analisi dei pensieri, in favore di un atteggiamento di pura consapevolezza, non tanto rispetto alla fondatezza o meno dei pensieri, quanto piuttosto rispetto al fatto che, sia che un pensiero sia vero o falso, rappresenta nient'altro che un prodotto della nostra mente che ha luogo esclusivamente nella nostra mente.
Questi pensieri sono in rapporto reciproco con emozioni e quindi sensazioni: l'uno determina l'altra che a sua volta innesca sensazioni e nuovamente pensieri.
Il nostro corpo è come un fiume sotterraneo al cui interno scorrono tutti questi elementi.
Non è utile, produttivo, capirli, combatterli, evitarli.Quando proviamo a farlo l'acqua di quel fiume diventa ancora più torbida ed agitata e rende ancora più difficile agire come vorremmo. Potrebbe essere utile, allora, abbandonare ogni forma di lotta e controllo rispetto a quello che scorre al nostro interno, anche se questo dovesse significare farci carico di sensazioni molto intese.
Sarebbe bello non provarle, soprattutto quando prendono e ci impediscono di vivere serenamente.
Paradossalmente, però, quando allentiamo il controllo e iniziamo ad agire NONOSTANTE dentro di noi vi sia qualcosa che non ci piace e che non vorremmo, cambiamo il nostro rapporto con quello che sta dentro di noi, che scorre in quel fiume, ed agire diventa sempre più semplice ed efficace.
Sè come contesto vuol dire appunto che dentro di noi è presente un universo (sensazioni, emozioni, pensieri) ma noi non siamo nessuno di questi elementi, siamo anche questo ma siamo soprattutto molto di più di loro.
Siamo la nostra storia, il nostro passato, il nostro futuro, il nostro corpo, le nostre relazioni, la nostra mente, siamo tutto questo ma comunque siamo sempre molto PIU' di quello che percepiamo.
Salvatore Torregrossa, Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale San Cataldo Caltanissetta