La natura ci ha dotati di uno strumento estremamente prezioso ed efficiente, il nostro cervello.
Grazie alla nostra mente, nel corso dei secoli, siamo stati in grado di gestire i pericoli e le opportunità dell'ambiente in modo sempre più efficace, permettendo alla nostra specie di evolversi fino a diventare quella dominante.
Tutti sappiamo cosa vuol dire pensare, non siamo però altrettanto bravi a comprendere il modo in cui questo avviene, quali parti del cervello lo rendono possibile.
Grazie alle moderne neuroscienze, grazie alle conoscenze fornite da una teoria definita "Relational Frame Theory, RFT", sappiamo che il pensiero (soprattutto quelli negativi) non risponde totalmente alla volontà razionale dell'individuo. Esiste un livello di funzionamento della nostra mente che si potrebbe definire "espressione diretta dei nostri bisogni primari". In altre parole, quando nell'ambiente in cui viviamo uno di questi bisogni (fame, sete, sicurezza, riproduzione, etc) è disponibile o messo a rischio, la nostra mente prende il comando e guida i nostri atteggiamenti, le nostre scelte, i nostri pensieri.
Quando parliamo del bisogno di sicurezza la nostra mente rivolge le proprie "attenzioni" anche alle sensazioni fisiche molto intense. Esse rappresentano un pericolo, e come tale vanno gestite cercando di evitarle e riducendole.
Provate a pensare a tutte quelle volte in cui facciamo esperienza di emozioni dolorose: soffriamo, proviamo a ridurle, facciamo di tutto perchè cessino.
Esistono principalmente due contesti in cui questo avviene:
- Contesto interno - Il pensiero.
- Contesto esterno - Le nostre azioni.
Quando gestiamo il "dolore" all'interno, di solito, lo facciamo attraverso una strategia di problem solving verbale tra le più diffuse: rimuginare.
Quando rimuginiamo è come se "masticassimo" mille pensieri e circostanze, tentando di capirle, modificarle, risolverle.
Tra le tante considerazioni che la nostra mente realizza vi è quella che vedete nella vignetta. Siamo abili a giudicare le vite altrui migliori delle nostre, meno dolorose, più felici. Tale atteggiamento, nonostante abbia una funzione specifica, produce l'effetto paradossale di indurre uno stato "depressivo", frutto dell'atteggiamento di "impotenza appresa": tanto non cambierà mai nulla, tanto non sarò mai felice come loro.
L'effetto prodotto da tale atteggiamento è quello di di limitare fortemente gli sforzi che avremmo potuto compiere in direzione del cambiamento, di una risalita, della capacità di affrontare la nostra vita anche in presenza di eventi dolorosi.
Il dolore fa parte della vita di ogni essere vivente.
Non possiamo eliminare il dolore dalle nostre vite, ma possiamo scegliere cosa farne quando si presenta.