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Acceptance, fare spazio per cambiare atteggiamento verso dolore e sofferenza.

Ogni giorno le nostre vite sono intrise di aspetti più o meno piacevoli che accompagnano in ogni istante le nostre scelte, le nostre azioni.

Esistono due dimensioni fondamentali in tal senso, quello che faccio (o che fanno gli altri) e quello che provo dentro.

Quello che proviamo dentro, siano esse sensazioni o pensieri, rispondono a logiche biologiche e fisiologiche che non sono direttamente nel nostro controllo.

Non abbiamo il controllo sui nostri battiti cardiaci, sul respiro automatico, sulla sudorazione o la regolazione termica del corpo, sulla dilatazione delle pupille o la salivazione nella nostra bocca, sui pensieri che affollano la nostra mente o sulla rabbia che proviamo quando qualcuno ci fa un torno.

Allo stesso modo, non siamo in grado di scegliere che tempo farà stamattina, se la mia donna possa ricordare ogni anno il mio compleanno o mio figlio stare attento al vaso in cucina evitando di romperlo.

Potrei elencarne ancora altri se ne avessi tempo e spazio ma sono certo di aver reso l'idea con questa breve lista.

Ognuno di questi eventi, fuori dal nostro controllo, ha effetti anche su di noi, producendo vissuti emotivi che spesso non sono frutto solo dell'evento, ma soprattutto delle idee e delle aspettative che abbiamo rispetto a determinati eventi.

Il nostro cervello è programmato per fuggire dagli stati di sofferenza e dolore. La mente umana è in grado di farlo non solo allontanandosi fisicamente dalla fonte di dolore ma anche, e soprattutto, attraverso processi linguistici e di pensiero, per esempio la RIMUGINAZIONE (per eventi che devono ancora accadere) o RUMINAZIONE (per fatti o circostanze del passato).

Queste strategie ci permettono, alcune volte, di capire qual è la fonte di dolore e quindi come evitarla, sia adesso che in futuro.

Molto spesso, però, riflettiamo e lottiamo nel tentativo di scoprire come eliminare un dolore e sofferenza che non ha una causa specifica, che non può essere eliminato o modificato, se non stravolgendo completamente il repertorio di comportamenti e scelte:

"Posso di certo evitare la paura che provo quando prendo un ascensore o mi trovo in macchina, basta rinunciare per il resto della mia vita a prendere l'ascensore ed utilizzare la macchina, in fin dei conti i nostri antenati non avevano questi mezzi e sono riuscito lo stesso a sopravvivere. Andrò a lavoro e percorrerò i 1350 del mio palazzo a piedi."

Queste strategie ed evitamento hanno un costo ben più grande di quello che avrebbe sostenere il peso di certe sensazioni e pensieri, che proveremmo se prendessimo quell'ascensore o quel viaggio in macchina.

Tra le circostanze che spesso innescano i nostri tentativi di lotta, o evitamento, vi sono spesso atteggiamenti o comportamenti che abbiamo agito in passato, che tutt'oggi agiamo nella nostra quotidianità, nelle nostre relazioni.

Una delle cose che la nostra mente sa fare meglio di altre è CRITICARE se stessa, criticare i propri atteggiamenti, le proprie scelte, il proprio passato. Anche questo atteggiamento ha una funzione specifica e non rappresenta qualcosa di patologico. E' il tentativo della mente di adeguare il nostro repertorio di comportamenti e atteggiamenti ad un insieme di valori che spesso assume in modo troppo rigido.

Se riuscissimo a riparare le scelte del passato, o modificare direttamente il nostro carattere o atteggiamenti, ne avremmo di certo un vantaggio nelle relazioni, e di conseguenza il nostro benessere.

Essere amati, essere oggetto di stima ed attenzioni è uno dei bisogni più importanti degli esseri umani. Soddisfare tale bisogno ha permesso, nel corso dell'evoluzione, di massimizzare la sopravvivenza rispetto ai pericoli e all'accudimento della prole.

Quando la nostra mente giudica poco vantaggiosi alcuni tratti del nostro carattere, CRITICANDOLI, sta agendo un tentativo di cambiarli al fine di non perdere la stima o il valore personale.

Molto spesso questi tentativi producono una sofferenza maggiore di quella che iniziale.

Critiche come: "fai schifo" "sei una persona inutile" "anche stavolta non sei riuscita a fare nulla di buono", producono un effetto opposto a quello voluto, inducono tristezza, sofferenza, depressione.

Le parole sanno essere, a volte, come dei macigni che ci schiacciano e ci inducono ad una condizione di immobilismo sotto il loro peso. Ecco quindi che una strategia nata per cambiare qualcosa in positivo finisce per cambiarla in negativo; smettiamo di agire, di prenderci cura di noi stessi, di prendere parte agli aspetti e le circostanze che renderebbero ricca la nostra vita.

Non è semplice staccare la spina ed interrompere questo flusso di critiche ed etichette che la nostra mente è solita apporre alle nostre esperienze. Ma possiamo scegliere cosa farne quando si presentano, possiamo lasciare che "il pensiero di una critica" esista nella nostra mente trattandolo per quello che è, un pensiero.
Possiamo concederci il diritto di essere vulnerabili, debili, di poter commettere errori o di non essere all'altezza in certe situazioni.
Possiamo permetterci il diritto di soffrire per le cose che accadono, per gli errori del passato, per alcuni momenti non proprio piacevoli.

Possiamo fare tutto questo, siamo molto più del nostro dolore, delle nostre critiche, continuando ad agire e scegliere in funzione di quello che REALMENTE è importante per noi ADESSO.

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